La
produzione teatrale di Dario Niccodemi (Livorno 1874 – Roma 1934) si pone
ai margini del teatro intimista che, nel periodo fra le due guerre, ha
costituito in Italia, dietro la linea più agguerrita ma anche più scadente
del teatro commerciale, come un sottofondo di teatro d’arte, dove
trovarono spazio opere nate all’insegna di una delicata ricerca di stati
psicologici e di atmosfere, mantenute sino alla fine con coerente unità di
stile.
Il
Nostro è stato autore di vasta popolarità, sostenuta da opere imperniate
per lo più su intrecci romanzeschi e sensazionali (La
Nemica, La Volata), che
sfruttano sapientemente gli effetti di una teatralità ben congeniata e
d’un dialogo teso a scuotere emozioni sicure. A queste testimonianze di
certo gusto teatrale tipico dell’epoca, Niccodemi affiancò altre che, con
pregevole mestiere, viaggiano su certa vena più sommessa e poetica, fra
scapigliata e sentimentale, quasi crepuscolare. Scampolo,
composta nel 1915, ne è esempio. Opera leggera e di semplice fattura,
genuina, ricca di modi morbidi e sfumati, questa commedia diverte e consola
con il candore e la schietta franchezza della sua protagonista; orgogliosa
ed irriducibile scugnizza (io sono una
stracciona e me ne vanto…) Scampolo riesce a contrastare ed a
sconfiggere l’avvolgente ipocrisia borghese della cultura dei salotti con
le armi più semplici e potenti: la verità e l’amore. La verità della
strada dei cui valori essa è figlia legittima (per
la strada le persone non sono cattive perché tutte le vedrebbero… Ma
quando sono rinchiuse in casa e che possono fare quello che vogliono, perché
nessuno le vede, allora diventano cattive…) e l’amore del suo Tito
che l’ha accolta, difesa, accettata (lui, lui solo, perché è buono, è riuscito a mettermi in gabbia…).
La
riproposizione in scena di Scampolo conserva dunque ancora un durevole
interesse anche per il pubblico moderno che, fuori dallo stordimento
accecante, turbinoso ed incalzante dell’universo multimediale “di
massa”, vuole ritrovare nella chiara metafora che la sua vicenda
sottintende, il gusto personale, l’intimo piacere, il concreto conforto
delle sfumature, della leggerezza, del vivere pacato.
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